Siamo andati a Ravenna, nello studio del Dott. Piero Casavecchia, parodontologo specializzato alla Boston University, relatore di numerosi corsi e congressi, da vent’anni socio attivo della Società Italiana di Parodontologia e Implantologia (SIdP) di cui è Board of Periodontology and Implantology, per fare il punto sulla rigenerazione ossea, una materia molto complessa che comprende due campi principali: quello dei materiali (sostituti ossei, membrane, fattori di crescita, tecnologie nano) e quello delle tecniche chirurgiche (GTR, GBR, chirurgia mininvasiva). Il focus di questa intervista riguarda la rigenerazione in campo parodontale, specializzazione in cui il Dottor Casavecchia vanta una lunga e consolidata esperienza.
Dr. Casavecchia cosa si intende esattamente per chirurgia rigenerativa (GBR, GTR)?
Per chirurgia rigenerativa si intende una procedura che mira alla rigenerazione dei tessuti parodontali (legamento, cemento, osso GTR) persi in seguito a malattia parodontale o dell’osso alveolare perduto (GBR) a seguito di infezione o trauma per poter posizionare impianti in maniera ottimale.
Limitando il campo alla rigenerazione in campo parodontale, quali sono le indicazioni attuali, riferite a tipologia del difetto e tipologia di paziente, a distanza di oltre 30 anni dall’introduzione di queste tecniche?
Le evidenze più consolidate riguardano i difetti infraossei, dove possiamo ottenere una rigenerazione del parodonto profondo superiore rispetto ad altre tecniche chirurgiche e stabile nel tempo a patto che il paziente osservi uno stretto protocollo di terapia di supporto. Come nel caso della chirurgia ossea resettiva e della chirurgia plastica parodontale, la selezione del paziente è molto importante e si basa sugli indici di placca e di sanguinamento e altri fattori di rischio come diabete e fumo. Per quanto riguarda invece i difetti di forcazione, purtroppo i risultati della chirurgia rigenerativa sono limitati e non predicibili, soprattutto per i molari superiori e le forcazioni di grado 3 e 2 mesiali e distali ai molari superiori e linguali ai molari inferiori.
Come in ogni campo, i materiali per la rigenerazione ossea hanno subito una grande evoluzione e sono stati oggetto di mode e revisioni critiche. Dagli esordi con il DFDB degli anni 80 per arrivare alle amelogenine e ai fattori di crescita, passando per i materiali eterologhi e quelli di sintesi, quali possiamo considerare oggi più affidabili e come possiamo distinguerli in base al loro meccanismo di azione?
Sebbene l’osso autogeno venga considerato a tutt’oggi il gold standard per la rigenerazione ossea, tuttavia ne sono stati evidenziati i limiti, come la velocità di riassorbimento e la morbilità per il paziente in caso di grossi prelievi. La difficoltà di utilizzo di osso omologo di banca, per motivi sia pratici sia etici, ha indirizzato la ricerca verso sostituti eterologhi di origine animale (bovina, suina o equina) e ormai disponiamo di un’abbondante letteratura scientifica che supporta l’uso di derivati ossei animali nella rigenerazione parodontale e implantare.
Altro aspetto della chirurgia rigenerativa riguarda l’utilizzo delle barriere. Può riepilogarci brevemente come vengono classificate in base ai materiali di produzione? Alla luce degli avanzamenti più recenti, per quali tipi di difetti sono maggiormente indicate? Quali ritiene più corretto utilizzare e in associazione a quali materiali da innesto?
La classificazione delle membrane, che sono fondamentali nelle procedure rigenerative per escludere l’epitelio e il connettivo dalla guarigione della ferita, viene fatta sostanzialmente in base alla capacità di riassorbirsi o meno. Le membrane non riassorbibili sono in PTFE (Poli Tetra Fluorene Espanso) e possono essere anche rinforzate al titanio per adattarsi meglio alle deformità alveolari e avere un maggiore effetto di conservazione dello spazio. Sono indicate quasi esclusivamente per la GBR a scopo pre-implantare. Hanno il vantaggio di mantenere più a lungo l’effetto barriera ma necessitano di un ulteriore intervento chirurgico per essere rimosse; inoltre sono più difficili da usare e a hanno maggiori complicanze come esposizione e infezioni. Le membrane riassorbibili, invece, sono in collagene di derivazione animale (bovino o suino) e hanno il vantaggio di essere più maneggevoli e di avere meno complicanze in caso di esposizione accidentale, tuttavia hanno un effetto barriera più limitato e necessitano sempre di un innesto di osso autologo o eterologo per mantenere il volume creato. Sono indicate per i difetti parodontali a 1-2 pareti, per le deiscenze periimplantari e come protezione dell’innesto osseo nella preservazione alveolare e nella botola in caso di accesso laterale al seno mascellare. Il meccanismo di azione è uguale in entrambe i tipi di membrane: l’esclusione dei tessuti molli dalla guarigione e la stabilità del coagulo. Fondamentale per la riuscita delle terapie rigenerative è la chiusura per prima intenzione dei lembi e l’assenza di traumatismi e sollecitazioni (protesi mobili, spazzolamento, cibi troppo duri) almeno per i primi due mesi.
Concludiamo con uno sguardo al futuro: quali sono le novità attualmente allo studio sia dal punto di vista delle tecniche che dei materiali? Esistono già tecniche mininvasive affidabili per trattare questi casi?
Le tecniche rigenerative hanno fatto passi da gigante negli ultimi anni, sia per lo sviluppo di nuovi materiali sia per l’utilizzo di strumenti chirurgici sempre più piccoli da utilizzare sotto ingrandimento. Le tecniche microchirurgiche consentono un minore traumatismo, una più rapida vascolarizzazione e una guarigione molto più veloce. La clinica è sempre più indirizzata verso lembi minimamente invasivi con preservazione delle papille interdentali, mentre la ricerca è indirizzata verso l’induzione della rigenerazione parodontale come nel caso delle amelogenine o dei fattori di ricrescita derivati dalle piantine (PDGF) o proteine morfogenetiche veicolate da carrier di collagene o acido ialuronico per stimolare la crescita ossea. Grande speranza è riposta nella terapia con cellule mesenchimali indifferenziate derivate dal legamento parodontale e dal cemento, che hanno mostrato buoni risultati nei difetti infraossei nel modello animale. Purtroppo, dovremo aspettare ancora qualche anno per la sperimentazione sull’uomo e l’utilizzo clinico.
Grazie Dottor Casavecchia per il prezioso contributo da parte dei soci di ANDI Bologna